IL CO HOUSING AGRICOLO DI ANDIRIVIENI:
UN ESEMPIO DI ECONOMIA CIRCOLARE
Progetti, racconti e testimonianze
“L'agricoltura urbana porta
benessere alla comunità”


Tra le tante associazioni che si occupano di ambiente, a Busca ci siamo imbattuti nell’associazione Andirivieni ODV. Il sodalizio gestisce un co housing e ha creato un orto collettivo che coinvolge tutta la comunità.
Proseguono le interviste alle realtà che sul territorio provinciale si occupano di volontariato ambientale nell’ambito della campagna CSV “La natura ha bisogno di te”.
Abbiamo incontrato Arianna Lamberti che ci ha spiegato come è nato l’orto agricolo e come funziona.
Partiamo dall’inizio: cosa significa essere un co-housing agricolo?
«Il co-housing di Andirivieni ha due anime, quella dell’abitare e quella agricola. L’idea di fondo è quella di vivere in modo più connesso con la comunità sia in termini di co abitare, sia in termini di contatto con la natura. Queste due anime si sposano alla perfezione perché le cose non si fanno da sole: abitiamo e coltiviamo insieme, ci prendiamo cura della casa comune e dell’ambiente. L’idea dell’orto collettivo è nata così, in maniera spontanea».
Spiegaci meglio, come è nato l’orto collettivo? E che impatto ha sulla comunità?
«L’associazione Andirivieni ha due progetti agricoli: uno è il luppoleto, l’altro l’orto collettivo. Il luppoleto è gestito all’interno alla nostra associazione, tutto l’anno si coltiva il campo di San vitale di Busca e viene prodotta la birra. L’orto collettivo invece è creato per la collettività, chiunque può partecipare, non è obbligatorio essere volontari dell’associazione».
Come si è ampliata, fuori dal gruppo di volontari, questa esperienza di orto collettivo?
«Sentivamo forte il bisogno che un progetto dell’associazione diventasse un progetto della collettività, sappiamo che dare un contributo saltuario è molto diverso dall’essere volontario, per questo ci siamo raccontati, abbiamo spiegato il valore del progetto. Ci rivolgevamo ad un pubblico molto ampio, cercavamo volontari occasionali, abbiamo vinto la scommessa. Ad oggi abbiamo attivato un’economia circolare che permette di massimizzare la resa dell’orto e dà la possibilità a tante famiglie di mangiare cibi genuini».
Dedicarsi all’orto senza obblighi precisi permette anche di rallentare i ritmi e questo è molto importante per il rispetto della natura.
«Esatto, l’agricoltura urbana porta benessere alla comunità. Innanzi tutto, perché permette di conoscersi, di rafforzare la comunità. Per gestire questa esperienza abbiamo messo il focus sul rallentare, sul trovare il proprio mondo. Oggi l’orto è diviso in tre parti: una ad uso comune, una dedicata a privati che ne fanno richiesta e una gestita dai volontari. Quest’ultima parte la usiamo anche per costruire laboratori adatti per lavorare con i bambini».
Come viene gestito l’orto di comunità?
«La premessa è quella di trovarsi spesso insieme. Facciamo incontri periodici con Andrea Paschiero che ci spiega come coltivare in modo totalmente naturale. Seguiamo i cicli della luna, se abbiamo surplus di verdura li portiamo alla Caritas. Abbiamo costruito una piccola economia circolare, che dà tanto alla nostra comunità».
Elisa Girardo
