THE OLD OAK di Ken Loach
Cultura e News dal Volontariato
La recensione del fim del professor Pier Mario Mignone
Ken Loach Ken Loach è un regista britannico molto popolare anche in Italia; proviene dalla classe
operaia e ad essa ha dedicato tutta la sua produzione cinematografica con la incrollabile
convinzione e fermezza da “ultimo militante”, dai tempi del glorioso “ Free Cinema” inglese tra la metà degli anni ’50 e quella degli anni ’60, – ed era l’estensione filmica del movimento del “giovani arrabbiati”. Erano i tempi del rinnovamento europeo del cinema, insieme alla Nouvelle Vague di Godard, Truffaut, Malle, e a quella del nuovo cinema tedesco di Wenders, Fassbinder e Herzog, mentre noi in Italia avevamo già proseguito il neorealismo con la grande stagione della commedia “all’italiana” di Risi, Monicelli, Comencini. Non ottennero però la condivisione etica della popolazione, perché come scrisse il regista Lindsay Anderson “la resistenza al cambiamento e l’accettazione del severo conformismo sociale e artistico della classe media erano troppo marcate”. Il movimento si esaurì, ma Ken Loach continuò il suo percorso, alla grande, accumulando ovunque un riconoscimento dopo l’altro.
Accostabile per tema a “As bestas” dello spagnolo Rodrigo Sorogoyen e Animali selvatici del romeno Cristian Mungiu, entrambi del 2022, The Old Oak (Uk, Fr., Bel., 2023) è l’ultimo, apprezzato film di Ken Loach, che mantiene tutta la grinta sociologica, la lucidità dell’analisi e l’empatia umana di sempre, e nonostante l’età avanzata del regista. Il titolo è il nome dell’unico pub di un paesino sul litorale inglese del Mare del Nord, sotto la città di Durham. E’ il solo posto di aggregazione sociale, a parte la chiesa, dei pochi abitanti rimasti, residuo spesso rancoroso e impoverito della classe medio-bassa già frustrata dal governo della Thatcher e dalla chiusura dell’attività estrattiva, e dalla perdita di valore delle case. Lo gestisce TJ Ballantyne non senza difficoltà, che diventa conflittualità quando nella cittadina arrivano dei rifugiati siriani: alla giovane Yara viene spaccata la macchina fotografica e il livello di intolleranza verso gli stranieri monta a dismisura tra i pochi avventori rimasti del pub che si sentono invasi nel loro territorio, disturbati nello loro consuetudini e perfino invidiosi dell’accoglienza dedicata agli stranieri. TJ se la prende a cuore per Yara e la sua gente, insieme ad un’assistente sociale ed esprime il sentimento di Ken Loach per cui la solidarietà nasce dal basso: “se mangiamo insieme, siamo uniti” dice la scritta sotto una fotografia nel salone ormai chiuso del pub. Ripetendo costantemente che “qui non facciamo beneficenza, questa è solidarietà”, come il motto del
tempo degli scioperi: “Forza, Solidarietà, Resistenza”.
L’assistenza logistica e alimentare data agli immigrati rianima il quartiere, ma fa anche crescere minacciosa la rabbia dei locali verso TJ: ormai perduto il senso della comunità urbana e solidale del posto di lavoro e della classe sociale, rimangono nuclei familiari a sé, isolati nel loro rancore e incapaci di aprirsi al rinnovamento che passa per “l’altro”, e quel che è peggio, disposti al sabotaggio. Già prima TJ sembrava aver perso ogni speranza esistenziale anche per la piega drammatica della sua famiglia: toccante la sequenza (che ritorna variata nel finale) in cui si inoltra in quel mare dove era morto suo padre, fermato poi solo dall’arrivo di Marra, una cagnolina dispersa che gli offre un appiglio salvifico, un richiamo alla vita (come era in Umberto D di De Sica). TJ trova nei siriani una nuova occasione di comunità solidale, fatta di rispetto, affetto, disponibilità. Però, la sua esistenza arriverà ad un punto cruciale e disperante nel successivo episodio della cagnolina…
Il regista inglese prende atto che i tempi sono cambiati in modo durissimo e con essi la gente, fattasi feroce dalla disillusione e dall’impoverimento, una guerra tra poveri con il dubbio doloroso che la solidarietà non sia più possibile e la speranza sia morta. Eppure in quella comunità e su quella spiaggia succedono cose che frenano la disperazione, accendono dei fremiti miracolistici e nuove aspettative. E’ quella fede nell’uomo di Ken Loach che è mai venuta meno. E fa rialzare chi è caduto, apre insperate possibilità a chi è stato privato, di cose, di persone e di storia.
Pier Mario Mignone