Monsieur Vincent di Maurice Cloche

Cultura e news dal volontariato

Quando si parla di volontariato, credo che anche al più sprovveduto sull’argomento verrebbe in mente subito la San Vincenzo, madre di tutte le filantropie e le opere di bene per gli altri, una sorta di logo universale della dedizione ai bisognosi e della disponibilità alla comunità, spesso contagiosa. Spontaneamente e gratuitamente, anzi con un impegno personale rilevante per i più attivi.

Non altrettanto nota invece è la personalità del suo fondatore Vincent de Paul, vissuto tra il 1581 e il 1660 e canonizzato il 16 giugno 1737. Un film, purtroppo dimenticato, ne descrive la disturbante, per i nobili, attività quando nel 1617 divenne intrepido parroco di Châtillon-les-Dombes (oggi Châtillon-sur-Chalaronne), un remoto villaggio nella Francia dell’Alvernia-Rodano-Alpi dove circolava la peste. Si tratta di Monsieur Vincent di Maurice Cloche (Fr.,1947, dialoghi del celebre drammaturgo Jean Anouilh), film ben noto ai suoi tempi, e che va rivisto perché ancora meritevole, considerati pure i molti premi ricevuti in patria e fuori, tra cui Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Pierre Fresnay a Venezia 1947, e Oscar 1949 al miglior film in lingua straniera. Ed è anche nella lista vaticana dei migliori film di sempre: tutt’altro che un’opera pia, questo singolare e accurato biopic è semmai un’opera sulla santa utopia sostenuta da concreto coraggio, o veggente incoscienza dei “folli” di Dio.

Contagia inizialmente le Gran Dame, le “madamin” di ieri che, nonostante gli intrighi e i pettegolezzi, il gossip di oggi, complice forse una alternativa al tran tran di chi non ha preoccupazioni se non per la soverchiante e virtualmente violenta presenza dei poveri, assicurano una prima fattiva e sostanziosa solidarietà dall’alto. Poi, a Parigi, fonda una congregazione femminile dedicata, di donne umili ma disposte al lavoro, smisurato, per gli altri, e ben consapevoli dei bisogni primari non dilazionabili. Non fosse altro che il disperato bisogno di un letto per morire, fame, malattie, solitudine. “Salvare i poveri con l’aiuto dei poveri”: Vincent aveva compreso che è soprattutto dal “basso” che può arrivare la spinta forte del riscatto sociale contro l’idea perversa della povertà come crimine. Le classi nobili e privilegiate scoprono l’uomo dietro il derelitto, la dignità nascosta dalla miseria, iniziano ad infrangersi i pregiudizi classisti: nasce di fato il volontariato, per cui, come è stato osservato, più che la carità, “la solidarietà diventa un’associazione organizzata”. Arriverà anche l’ammirazione del papa e della regina di Francia.

Quello di Vincent de Paul tuttavia non era assistenzialismo, semmai un soccorso o meglio, una chiamata alla responsabilizzazione di tutti: ognuno fa quello che è in grado di fare. Se certamente prima di salvare le anime occorre provvedere alla sopravvivenza dei bisognosi, è prioritario che chi può provveda a se stesso e non sottragga risorse ad altri: oggi mangi con noi, ma “al pasto di domani ci pensi tu …”

Di fondo resta comunque un grande sentimento di umanità, oltre la “carità”, – quella la possono fare anche i ricchi. E’ il sorriso, la comprensione, l’empatia verso chi è solo, in difficoltà, il sentirsi vicini e pronti a condividere: è questa disposizione che per Vincent dà un senso a tutto il resto.

Il film è reperibile anche su Netflix in originale con sottotitoli, un’ottima edizione che, in gran parte dei televisori ad elevata saturazione cromatica, appare elegantemente antichizzata con leggerissime virature color seppia nelle zone d’ombra e vagamente violette in piena luce, sottotitoli in giallo discreti ma ben leggibili. Da non perdere.

 

 

Pier Mario Mignone

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