"Un mondo a parte" di Riccardo Milani
Cultura e news dal volontariato
La recensione del film
La recensione del film “Un mondo a parte” di Riccardo Milano a cura del professor Pier Mario Mignone.
Non basta avere dei bisogni in comune perché si faccia solidarietà: occorre avere empatia, apertura verso l’altro, senso della disponibilità, cultura e pratica della condivisione. Magari non subito, ma in divenire con lo sviluppo della situazione: quando si vuole, un punto di incontro mentale ed operativo lo si trova. Ce lo aveva già ricordato Ken Loach in The Old Oak, ce lo ripresenta Riccardo Milani in Un mondo a parte (It., 2024) una sorta di fiaba dei tempi nostri ambientata in un paesino abruzzese, sperduto tra neve e lupi, e che oggi è diventato proprio per questo meta di un turismo cultuale. C’è Michele, di cognome Cortese, maestro elementare in una periferia romana da trent’anni: troppi, per gli sberleffi e le violenze di studenti e famiglie, stanco di “cercare di salvare gente che non ha intenzione di essere salvata, e ti mena pure”. Ben venga quindi il buon esito della richiesta di assegnazione provvisoria in una pluriclasse a Rupe, 364 anime conteggiate dopo le “14 dipartite e nessuna nascita”. Un borgo fuori dal mondo nel Parco Nazionale dell’Abruzzo ma una scala per il Paradiso per il cortese Michele, tutto ancora impregnato di una visione pastorale e idilliaca del vivere in natura come antidoto al degrado urbano odierno, aggiornati con slogan green come “salvare il mondo prima di cena”.
Di diversa opinione sono alcuni abitanti, logorati dalla fatica, dalle aspettative disattese, dal “perdere una cosa dopo l’altra” e dalla mancanza di prospettive future. E un po’ anche inviperiti dall’inattuale, bucolica “felicità” dei visitatori mordi e fuggi, – però, nella sfiancata rassegnazione generale, c’è un giovane coltivatore che creda nella terra, e intanto si sistema il vecchio trattore.
Fortuna soprattutto che c’è Agnese, collega di Michele e vicepreside della scuola, concreta, indomita e propositiva. Ed empatica, quanto è imbranato Michele che non sa accendere la stufa a legna, e seppur avvolto in una coperta, trema così tanto per il freddo da non riuscire ad imboccarsi il cucchiaio. E in più è stravolto dalla parlata marsicana, per la quale “oràp’ e’ffjùle” sta per “rape e fagioli” e per saluto universale un sintetico suono gutturale, “barbarico”, con incatalogabili variazioni personali. Ma trova anche poesia nel canto degli uccelli e dall’incontro notturno con un cervo, e negli occhi di Agnese.
C’è però di peggio che incombe non solo sullo sprovveduto, eppur volenteroso, Michele, ma soprattutto sulla scuola: la chiusura per insufficienza di alunni, con la manifesta compiacenza del dirigente del comprensivo di cui fa parte. Se è vero che le tribolazioni aguzzano l’ingegno, qui la sceneggiatura ha una sferzata geniale, facendo interferire l’isolamento del borgo sperduto con le dinamiche umane, politiche ed ambientali, dell’immigrazione. Qui ovviamente il film non scava nelle problematiche dolorose se non tragiche di ucraini e magrebini, li considera come possibilità numerica e di integrazione per bypassare le rigide assurdità della burocrazia usando le sue stesse regole. Tutto il paese si attiva e diventa così una comunità solidale in cui ognuno fa la sua parte per mantenere aperto il proprio plesso scolastico come asserzione di dignità civile e opportunità di crescita per tutti. Come slogan, “la montagna lo fa”.
E’ un mondo spontaneo ed empatico, come altri che quasi abbiamo dimenticato, e che fra tanta ironia non perde la sua cordialità, non teme di passare per situazioni grottesche con in più di un momento un velo di malinconia. Lo percepiamo soprattutto grazie anche agli attori, in gran parte non professionisti e abitanti del luogo e che in fondo recitano se stessi. Sono però amalgamati dai due attori al meglio delle loro prestazioni: Albanese è perfetto nella sua tipologia di personaggio per cui lo conosciamo, soprattutto è una rivelazione Virginia Raffaele nel ruolo di Agnese. Del regista Riccardo Milani, già legato sentimentalmente e artisticamente a Paola Cortellesi, sappiamo quanto basta se pensiamo anche solo a Come un gatto in tangenziale.
Pier Mario Mignone