Intervista al professor Stefano Zamagni

La Parola a | L’intervista

"Anche l'acqua del mare ha bisogno degli scogli per alzarsi più in alto"

Partendo dal tema delle Giornate di Bertinoro “Oltre la forma. Risignificare le organizzazioni per generare cambiamento“ (13-14 ottobre 2023), Lei ha parlato di trasformazione necessaria più che di cambiamento, nel Terzo Settore. Può spiegarci la differenza?

«Nella lingua italiana i termini trasformazione e cambiamento hanno significati molto diversi anche se nella pratica quotidiana tendono ad essere confusi. Dov’è la differenza? Il cambiamento postula sempre la continuità come, ad esempio, camminando lungo un sentiero io cambio il passo, l’andatura, ma il sentiero rimane sempre lo stesso.
La trasformazione invece è un movimento che implica un mutamento di sentiero, cioè vuol dire prendere un’altra strada.
Nei termini ordinari della vita associata il cambiamento è sufficiente. Nei tempi ordinari bastano le riforme che sono associate al concetto di cambiamento, per migliorare l’aspetto o altro.
Nei tempi straordinari, cioè di crisi profonda, la parola crisi è una parola greca che significa “transizione”, essere un passaggio. Allora il cambiamento non è più la parola adeguata. Bisogna operare con delle trasformazioni.
Bisogna avere il coraggio di intraprendere nuovi sentieri perché se continuiamo a battere il medesimo sentiero, sia pure aggiornato, modificato è evidente che il fine che caratterizza il mondo del Terzo Settore non sarà mai realizzato appieno.
Oggi noi viviamo una stagione di grande trasformazione. Ecco perché abbiamo bisogno di aggiornare le nostre categorie di pensiero».

 

Questa trasformazione riguarda anche i CSV chiamati dal Codice del Terzo Settore ad essere Enti del Terzo Settore e al contempo a gestire questa trasformazione. Lei che cosa consiglia ai CSV per intraprendere questo percorso?

«Innanzi tutto la novità associata alla Riforma del Terzo Settore, quale risulta dalla legge del 2017, Codice del Terzo Settore, è di rendere i CSV essi stessi Enti di Terzo Settore, mentre prima erano considerati a latere, l’ente era l’organizzazione di volontariato o l’associazione.
Poi per ragioni storiche legate alle vicende italiane, riferite alle Fondazioni bancarie, vennero creati i Centri di Servizio per il Volontariato che erano visti come un sostegno.
La novità ora è che i CSV sono essi stessi ETS come le imprese sociali, le cooperative sociali, le fondazioni. Questa è la grande trasformazione, ma spesso si pensa sostanzialmente che si possa andare avanti come fino adesso è stato, migliorando un aspetto, un altro. Questo sarebbe un errore gravissimo.
Bisogna che ci si chieda: se noi siamo ETS al pari degli altri non possiamo soltanto erogare servizi ad altri ETS come il volontariato, servizi giuridici, di consulenza, a volte anche economici. Bisogna che noi troviamo una nostra identità che non deve eliminare ciò che finora è stato fatto, questo è ovvio. Però dobbiamo pensare a come caratterizzare la nostra azione, altrimenti prima o poi arriverà qualcuno che dirà che i CSV non svolgono più una loro funzione specifica.
La nuova legge dice che i CSV non possono limitarsi a dare servizi solo alle ODV, ma a tutti gli ETS.
Si apre una stagione nuova nel corso della quale chi opera all’interno dei CSV deve pensare perché non è immediato.
È chiaro che ogni realtà locale ha le sue specificità. Non ci può essere una risposta che è uguale per il CSV di Cuneo a quello di Canicattì.
L’invito che rivolgo agli amici del CSV di Cuneo è di creare un piccolo gruppo di pensiero che si metta a rispondere alla domanda “Come noi dobbiamo caratterizzare la nostra azione?”, conservando i vecchi tipi di servizi, però dovete Voi trovare, lo dovete trovare solo Voi che conoscete la realtà del cuneese che è una realtà molto speciale, “benedetta”. Quello che va bene a Voi potrebbe non andare bene a un CSV che sta da un’altra parte. Non tocca a me fare questa riflessione perché sarebbe un’invasione di campo perché non appartengo a questa comunità. Posso ex post, una volta che ci sono già delle proposte, dare un consiglio se quello che Voi avanzate va nella linea che io ritengo corretto oppure no. Voi dovete essere gelosi della Vostra autonomia!».

 

In apertura delle Giornate di Bertinoro ha detto che “Anche l’acqua del mare ha bisogno degli scogli per alzarsi più in alto”. Può commentare questa bella frase?

«Questa frase serve a combattere il vizio tipicamente italico del catastrofismo, di chi, cioè di fronte alle difficoltà, che ci sono, rinuncia a rimboccarsi le mani per gridare alla catastrofe imminente. C’è una parola greca che definisce meglio di catastrofismo, cioè “misoneista” (atteggiamento di disprezzo e di rifiuto nei confronti di qualsiasi novità o innovazione). Sono coloro i quali in una determinata realtà dicono “Non c’è niente da fare. Non si potrà mai cambiare niente, andiamo avanti così”. È la cosa più grave che possa accadere in particolare al Terzo Settore a coloro che dicono: “Abbiamo sempre fatto così. Siamo sempre andati avanti così, le difficotà ci sono, non proviamo a cambiare“. La battaglia è di prendere i misoneisti e di portarli in un’isola deserta e tenerli separati. I misoneisti sono il male sociale di oggi perché il misoneismo induce alla pigrizia. Se io diffondo questi convincimenti chi mi ascolta dirà che non c’è niente da fare. Se vogliamo coltivare il seme della speranza, quindi alzarsi in alto, bisogna certamente tenere conto delle difficoltà, ma non esagerare per non cadere nel misoneismo».

 

 

Giorgia Barile

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